Carlamaria Lucci, Percezioni del tempo cosmico nell’Iliade
La mia relazione prenderà l’avvio dai risultati degli studi, condotti da J.-P. Vernant sul racconto esiodeo delle cinque età del mondo (Op. 106-201), tra gli anni Sessanta e Ottanta del secolo passato. L’esito principale di quei lavori risiede nell’identificazione di un immaginario riconducibile, attraverso la voce del poeta Esiodo, al punto di vista di uomini dell’età arcaica della Grecia (VIII-VII sec. a.C.), impegnati a situarsi entro un ordine e una storia cosmica più vasti. In tale immaginario, Vernant ha riconosciuto la transizione da fasi cosmiche più antiche (“dell’oro”, “dell’argento”, “del bronzo” e “degli eroi”), segnate da una sostanziale permeabilità di rapporti fra uomini e dei, a una fase cosmica più recente (l’“età del ferro”), segnata da un’interruzione di questi rapporti, in coincidenza con l’avvento del lavoro e della riproduzione sessuata come condizioni ineludibili d’esistenza per il genere umano contemporaneo ad Esiodo.
L’obiettivo della mia relazione sarà di verificare in che misura questo immaginario trovi riscontro nell’Iliade e fino a che punto possa considerarsi rappresentativo di un punto di vista condiviso fra i destinatari dell’epica greca arcaica. L’analisi di alcuni passaggi significativi del poema, fra loro irrelati, permetterà di ricostruire una serie di percezioni del tempo cosmico compatibili con il racconto esiodeo e suscettibile di articolarsi in tre momenti principali: 1) una fase post-iliadica (Il. XII 10-33, V 302-4, XII 379-83, 445-9, XX 285-7), caratterizzata dall’avvento di una generazione di uomini depotenziati che non conoscono eroi, se non come oggetti di una memoria ancestrale risalente alla guerra di Troia (in convergenza con quanto narrato a proposito della quarta e quinta età esiodee); 2) una fase pre-iliadica, posteriore all’affermazione dell’ordine di Zeus sull’Olimpo (Il. I 396-406, V 392-404, VI 129-40, XV 18-30, XVIII 394-409, XXI 442-57), caratterizzata da costanti tensioni tra gli esseri sovraumani, suscettibili di arrivare fino all’oltraggio del corpo divino, talora inflitto da uomini (in convergenza con quanto narrato a proposito della seconda e terza età esiodee); 3) una condizione originaria di fertilità della terra e degli armenti, denotata come pre-iliadica, ma non chiaramente situata in termini temporali (Il. IX 533-42), comparabile con quanto evocato nell’età dell’oro esiodea.
A fronte di queste analogie, le differenze tra l’immaginario iliadico e l’immaginario esiodeo saranno rintracciate nella diversa modalità di trattamento del tema. Le diverse percezioni del tempo cosmico risulteranno veicolate da immagini irrelate di essere umani e sovraumani in azione nell’Iliade; viceversa, risulteranno sinteticamente evocate, per il tramite di allusioni generalizzanti e apocalittiche sull’avvicendarsi delle generazioni umane e sulla loro sorte post mortem, nell’epica esiodea. Si tenterà di spiegare queste differenze come l’esito di un processo di differenziazione, sopraggiunto nella tradizione epica, a partire da un immaginario più antico di cui si colgono le tracce, almeno nell’Iliade, per il tramite della comparazione archeologica. La costante ambientazione dell’oltraggio al corpo divino sullo sfondo di architetture grandiose alle soglie della distruzione, porterà a riflettere alla possibilità di rintracciarvi un immaginario d’implosione della civiltà dei palazzi micenei, sedimentato nella memoria epica nel corso dei secoli (noti archeologicamente come Dark Ages) che seguono il crollo dei palazzi stessi (XIII-XII sec. a.C.). Si cercherà così di mostrare, riprendendo spunti della riflessione dell’antropologo Ernesto de Martino, come la crisi di una civiltà si sia tradotta in un immaginario di fine del mondo o, piuttosto, di ripetute immagini di fine del mondo, reciprocamente isolate nell’Iliade in plurime evocazioni narrative, articolate in un discorso strutturato sotto forma di cosmologia e successioni di età nell’epica esiodea.